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lunedì 6 gennaio 2014

L'Australia dalla A alla Z: alfabeto di una vacanza

Il ricordo di questa esperienza mi accompagna e mi accompagnerà di sicuro ancora a lungo.
Nemmeno il brusco rientro, avvelenato da una inaspettata sorpresa lavorativa, è riuscito a scalfirne i benefici effetti.
Ma, adesso che Luca è rientrato da un pezzo ed è finalmente riuscito a completare il suo video di riepilogo, è arrivato anche il momento di chiudere con le parole scritte.
(Il video lo potete trovare qui: http://youtu.be/ID68D0SW4w0. Guardatelo, è veramente bello).

Chiudo, quindi, raccogliendo in ordine alfabetico una minima parte degli aggettivi che l'avventura australiana mi ha stampato nella mente.



L'Australia è stata per me:

Accogliente, come la familiarità di Luca nel portarci in giro per la "sua" Hervey Bay
Affascinante, come i dipinti proto-puntinisti degli artisti aborigeni
Ambigua, come la capriola di Orione
Amichevole, come l'ospitalità di Jodie e dei suoi figli
Approssimata, come gli allestimenti interni ed il motore delle sue macchine giapponesi
Assente, come le balene da Hervey Bay nel periodo in cui siamo stati lì noi.

Bassa, come il wallaby vicino al kangaroo
Bella, come la nuova goPro di Luca, pietosamente ri-comprata per sostituire quella indegnamente persa nel tentativo di riprendere un tentativo di surfata
Blu, come i cieli nelle giornate terse
Brillante, come il sorriso dei commessi nei negozi
Buia, come le notti a Lady Elliot
Buona, come i sushi giapponesi che non sanno di plastica, ma di pesce
Butterata, come le scoscese pareti di Urulu

Chiassosa, come le notti tra gli uccelli e le stelle di Lady Elliott.
Colorata, come la livrea dei multiformi pesci tropicali
Contraffatta, come il gelato, gusto bacio annacquato, chiamato chissà perché "cioccolato veronese"
Conveniente, come l'Islander Hotel di Surfers Paradise
Costosa, come la camera nel resort di Byron Bay
Curva, come la terra che fugge dall'orizzonte dell'Oceano

Difficile, come restare in equilibrio su una tavola da surf
Disinvolta. come le infradito e la camicetta addosso al manager o al ministro
Disordinata, come la distribuzione delle piattaforme nelle stazioni di Sydney
Divertente, come guidare sulla Pacific Highway con la musica e la spensieratezza da vacanza 
Dolce, come il naso naso con il koala o lo sguardo incantato di Enrico di fronte ad ogni cosa nuova

Effervescente, come i mercoledì sera nei pub delle grandi città
Efficiente, come i treni a due piani del metro di Sydney
Esilarante, come vedere i tuoi figli provare ad indossare una muta "quadri-face" (solo per loro…)
Esile, come il confine tra il sentirsi a casa o, al contrario, fuori dal mondo
Estranea, come la sua posizione nella tua percezione della Storia

Familiare, come i gabbiani che, mescolati ad uccelli stranissimi, sembrano lì solo per sbaglio
Finta, come gli aborigeni in mezzo ai grattacieli delle città turistiche.
Frenetica, come il nuoto dell'ornitorinco
Fresca, come le acque dell'oceano

Gentile, come lo sguardo della tartaruga marina che si volta mentre la insegui sotto acqua
Giovane, come la totale maggioranza della gente che lavora negli esercizi pubblici
Girovaga, come le decine di giovani di ogni nazionalità che incontri ovunque e che, terminate le fatiche nei campi per ottenere un anno di permesso di soggiorno, la girano in lungo ed in largo da backpackers

Hippie, come il clima che ti avvolge a Byron Bay
Hipster, come i molti seguaci della versione postmoderna di questa moda anni '40 che vedi spesso in giro vestiti con magliette con citazioni improbabili, occhiali da nerd ed aggeggi elettronici perennemente in mano

Immobile, come i pellicani sul piloni del lungo pontile di Hervey Bay
Improbabile, come le foderine in pelo finto dei piccoli aerei da turismo che ti portano a Lady Elliot o a Fraser Island
Indecisa, come l'oscurità del primo quarto di luna di Fraser Island
Invisibile, come i koala nel parco di Coolangatta

Leggiadra, come il volo della manta ray o la danza delle tartarughe innamorate
Lenta, come la velocità massima possibile che mai supera i 110
Loquace, come il taxista di Brisbane o la commessa di Surfers Paradise
Luminosa, come le Nubi di Magellano nelle notti senza Luna

Magica, come i profili di Urulu e Kata Tjuta
Minacciosa, come l'immobilità dei barracuda
Misteriosa, come la scomparsa di un hard disk mai scomparso
Movember, come la moda (per gli uomini…) di lasciarsi crescere i baffi o la barba (Mustache) in nOVEMBER, a sostegno della campagna di sensibilizzazione contro il cancro alla prostata

Nascosta, come l'esistenza ordinaria e quotidiana degli aborigeni
Nidificata, come ogni buco nella terra o ramo sugli alberi di Lady Elliot
Noiosa, come l'impressione da brutta copia di Londra che danno il centro di Brisbane o di Sidney
Nuova, come la sensazione che ti trasmette ogni cosa, dalle strade alle costruzioni

Ordinata, come le code, in stile londinese, alla fermata dei bus
Originale, come il taschino sulle magliette della Billabong che tutti copieranno, prima o poi
Ostentata, come il lusso di qualche macchina a Surfers Paradise
Ovvia, come la tendenza ad associare l'Italia al cibo, auto e donne (l'ordine, dipende dal soggetto) e non a Berlusconi che qui nessuno (fortunatamente) conosce


Paurosa, come la sagoma dello squalo
Primordiale, come le mille varietà di piante che ti trasportano sulle rive di un altro pianeta
Pulita, come gli onnipresenti bagni pubblici
Puntuale, come gli autobus a Sydney

Quasi perfetta, come l'ultima cena a base di pesce con Enrico nel bel ristorante sul molo Sydney. Peccato solo che il pesce fosse finito.
Questionabile, come la guida degli autisti di bus sulle piste sabbiose di Fraser Island

Raggiante, come la sposa al faro di Bayron Bay
Ravvicinata, come la distanza tra le fermate dei bus.
Ronfante, come le dormite disteso al sole sulle calde e morbide spiagge
Rossa, come la terra, quasi ovunque

Scialba, come le divise della undicesima classe della Urangan High School
Scorrevole, come il Penny di Luca tra la folla
Seria, come il pericolo di imbattersi in serpenti
Sicura, come l'Inglese di Luca con il call center dell'affitta macchine per sapere se avevamo un diesel o un benzina
Silenziosa, come le notti nel deserto dei Northern Territories.
Snob, come i quartieri di Sydney mollemente adagiati nel verde degradante sull'oceano.
Sola, come i pochi barboni visti in giro
Sorprendente, come la spiaggia di Bondi Beach: una macchia ocra-bluastra di sabbia ed oceano dietro l'angolo di una periferia popolosa.
Sorridente, come quasi chiunque con cui tu abbia a che fare
Sterminata, come la distesa di terre rosse, laghi salati e piste sconnesse, che accompagna il volo da Sydey a Urulu
Strana, come gli uccelli di tutte le forme che passeggiano nei parchi

Tenera, come la sconsolata delusione dei ragazzi nel non trovare un posto dove dormire a Bayron Bay
Toccante, come il contatto con le storie di Urulu e l'atmosfera da unico presidio dell'unica Storia di questo continente che vi si respira.
Torrida, come il clima durante la passeggiata attorno a Kata Tjuta
Tranquilla, come le case affacciate sul Brisbane River

Ubriaca, come quasi tutti la sera del mercoledì e del sabato sera
Unica, come la magia di Urulu
Urticante, come le mosche e zanzare nell'Outback dei Northern Territories
Utile, come la retina per proteggere il volto dagli insetti, assolutamente indispensabile nei Northern Territories

Vasta, come la distesa del nulla rosso-verdastro che accompagnano il suo sorvolo da nord a sud (e anche da est ad ovest…)
Veloce, come il verde dei semafori pedonali che dura appena per un quarto del tempo necessario all'attraversamento
Verde, come il giardino botanico di Sydney che ti dà subito l'impressione di vivere meglio anche in una grande città
Vitale, come il respiro a pelo d'acqua delle tartarughe marine

Zelante, come le guardie di sicurezza che cercano inutilmente esplosivo nelle tue borse, ma se trovano un biscotto italiano ti fanno saltare in aria.
Zitta, come i lucertoloni che ti stanno ad osservare immobili nei giardini pubblici di qualunque città
Zoppa, come l'andatura degli hippies strafatti a tarda notte nelle strade di Byron Bay

Un grazie di cuore a tutti quelli che hanno avuto la voglia e la pazienza, di leggere qua e là le pagine di questo blog. Scriverlo è stato un modo per fissare e condividere le dolci emozioni di quei giorni. Spero di averle, almeno in parte, trasmesse anche a voi.








domenica 17 novembre 2013

Tutto è relativo

Una giornata spettacolare ci aspetta mentre atterriamo a Malpensa. Un cielo limpido ed un'aria quasi calda ci accolgono dopo le quasi tredici ore del balzo da Singapore.
La tristezza per la fine di questo periodo particolare tra me ed Enrico è addolcita un po' dalla stanchezza ed un po' dalla voglia di rivedere le rispettive morose o mogli.
Dall'altra parte del mondo, Luca ci manda messaggi per sapere dove siamo. L'effetto, quando li leggo, è di essere di nuovo tutti e tre assieme.
Mi chiede anche se concluderò questo blog con una sintesi e magari lo farò nei prossimi giorni, aiutato dalle foto.

Arrivo a Verona prendendo quasi al volo una Freccia Bianca. Mi gioca contro, oltre al tempo, soprattutto l'imbecillità di chi ha progettato l'accesso ai binari pensando che la stazione sia un centro commerciale e non un posto dove la gente ha fretta di prendere un treno.

Arrivato a Porta Nuova qualcosa che blocca la tangenziale impedisce ad Elisabetta di accogliermi in orario. Ci impieghiamo quasi un'ora a fare i 10 km che ci separano da casa.

Mi sembravano tante le 24 ore per farne 16.000, ma davvero è tutto relativo.



venerdì 15 novembre 2013

Tutto storto, tutto liscio

Vabbè, di sciocchezze in questo blog ne ho dette tante e quindi, anche se avevo detto che non avrei più scritto di cronaca, eccomi qui di nuovo a raccontare.

Ho però due buone ragioni per farlo.
La prima è che pubblico questo post mentre sto volando a 794 km/h e 12189 m sopra la magia di Urulu.
La seconda è che non si tratta di vera cronaca, ma del fatto che, nel mare di cose che non ho raccontato (per fortuna, direte voi) almeno due le voglio ancora dire. Se poi me ne verranno in mente altre, questa volta non prometto che non le scriverò.

Dunque, la prima é una sciocchezza.

Chi mi segue dall'inizio sa che all'albergo di Sydney avevo dimenticato il mio hard disk esterno. Il receptionist indiano, dopo aver controllato, alla seconda telefonata  mi aveva assicurato  di averlo ritrovato. Ero quindi rassegnato a farne senza lungo il viaggio quando, la sera stessa, è ricomparso in fondo allo zaino.  È nato allora il giallo di cosa avessero effettivamente ritrovato. Per risolvere il caso non c'era che d'aspettare di tornare a Sydney nello stesso albergo e farsi consegnare l'oggetto ritrovato. 
Ieri infatti, appena arrivati alla reception, dopo i convenevoli legati al fatto che il receptionist (non quello indiano, ma un altro) ci ha riconosciuto, abbiamo chiesto cosa avessero ritrovato.

Bene, con la stessa leggerezza del suo collega, il simpatico impiegato ci ha detto che non avevano trovato niente e che forse, al telefono, si riferivano ad un'altra stanza. 
Ora, chissà se qualcuno aveva dimenticato davvero un hard disk in un'altra stanza o se il nostro bagnoschiuma (comperato per 10 dollari in un 7-24 del Circular Quay) che è l'unica cosa che manca all'appello è lì triste e solo senza più possibilità di rivedere il suo padrone...

A dire il vero poi, il bagnoschiuma non è  la sola cosa che manca all'appello. Ho perso, questa volta davvero, la custodia dello stesso hard disk. È rimasta là, da qualche parte, a Lady Elliot.  Come il guscio, ormai disabitato, di una delle tartarughe che ha volteggiato intorno a noi in quelle acque da sogno, sembrava destinata a rimanere qui dall'altra parte del mondo.

La seconda non è una sciocchezza, ed è anche un po' personale, ma voglio scriverla lo stesso..

In questo mondo all'incontrario, dove tutto viaggia storto, al rovescio, dalle auto alle maniglie, dalle stelle  ai rubinetti, anche il mio rapporto con i ragazzi ha subito un'inversione. Temporanea, forse, ma sorprendente e del tutto positiva.

Ho vissuto con un Luca più maturo, più adulto, più sicuro. Nonostante gli strusciamenti, gli abbracci, le coccole, come sempre parte del nostro rapporto, era lui che guidava il tour, indicava le cose da fare e da vedere, lui che ci ha imposto il look e scelto i posti dove dormire o dove mangiare. Insomma, come nella foto dell'evoluzione, piccolo capolavoro della DONISI CREATIVE PRODUCTIONS, così nella realtà di questi intensi giorni, il leader incontrastato, l'essere più evoluto, è stato lui.
Una sorpresa, ma non tanto. Diciamo più una bella conferma della forza di questo ragazzo. Ed una diversa sfumatura nell'equilibrio di questo terzetto, per certi versi un po' speciale.

Luca, se leggi, sappi che sono fiero di te, come lo sono sempre stato e ancor di più, ma che la stessa forza la voglio vedere quando torni, impiegata ad affrontare le difficoltà di un rientro che sarà al freddo ed in salita...

La sorpresa, questa un po' lo è stata, me l'ha fatta Enrico. Con lui ero ormai abituato ad un rapporto tra persone adulte. Vissuto, fino all'anno scorso, con la disinvoltura ed un po' il distacco di due compagni di studi che condividono l'appartamento fuori sede e alternano momenti di confidenza profonda, resa possibile dal suo carattere aperto e riflessivo, a momenti di scazzo duro, quasi sempre per motivi legati ai soldi.
Qui, per la prima volta in vacanza noi da soli e con ogni motivo di litigio pecuniario per sempre alle spalle, ha prevalso un dolce rilassamento fatto di sguardi più che di parole, di gesti più che di confidenze. E, come ho detto in qualche post precedente, questa dolcezza, questo senso di abbandono lo hanno spesso trasformato ai miei occhi nel bellissimo bambino che è stato, con i suoi slanci di entusiasmo, il suo totale abbandono ai miei racconti, la sua voglia di capire e di squadrare la vita dalle mille angolature che solo un bimbo, a volte, riesce a cogliere.

Enrico, quando leggi, sappi che non avevo dubbi che saremmo stati bene, ma adesso posso dire che tutto è andato mille volte meglio del meglio che mi aspettavo. E questo, senz'altro, è anche merito tuo.

Quindi, alla fine, tutto storto, ma tutto liscio.


giovedì 14 novembre 2013

BB

BB, come Bondai Bich.
Che poi sarebbe Bondi Beach, la luminosa spiaggia di Sydney da cui, praticamente, questo viaggio ha preso forma.
Enrico ha noleggiato una tavola nello stesso posto dell'altra volta. Il commesso (che si è tagliato i capelli) si ricordava perfettamente della sceneggiata della muta doppiamente indossata al rovescio e ci ha di nuovo preso bonariamente in giro.

Le onde questa volta sono quelle giuste. Ordinate, arrivano rombando a riva, una dopo l'altra.


Una folla di equilibristi le cavalca disinvolta.  Enrico, con la tavola corta da surfista esperto che ha imparato anche ad infilarsi la muta, scompare presto tra i cavalloni. Lo cerco invano con il teleobiettivo per fissare la sua impresa, ma non riesco a riconoscerlo tra la mandria di scalmanati che mulinano le braccia per inseguire l'onda.
Sulla riva, fortunati runner solitari si riempiono i polmoni di iodio ed aria salmastra, godendosi a passo di corsa questa autentica fortuna di Sydney.
Anche un vento caldo e sostenuto cavalca le onde creando un piacevole effetto spray che ti investe frizzando l'aria.
La differenza con il phon di ieri è un contrasto simile a quello tra il rosso di quella terra ed il blu di questo mare. Un contrasto di colori ed odori che si impressiona nella memoria di questa vacanza.
Lo scampolo di mare, rubato a questo nostro tempo che sta ormai per scadere, rende piacevole e non privo di nostalgia, l'addio a questa terra.
Un ultimo sguardo a queste onde e poi prendiamo al volo il 380 fortuitamente fermo al semaforo che riusciamo ad attraversare a pochi metri dal bus stop.

Da adesso in poi la cronaca del nostro rientro risulterebbe solo noiosa.

Ci siamo solo ripromessi che, se avremo il tempo e l'ispirazione, proveremo a ripercorrere questa splendida esperienza con una serie di fermi immagine fatti di parole. Come una specie di time lapse raccontato.

Questo racconto è meglio chiuderlo così, con questa immagine blu nel mare, calda nel sole, profumata nell'aria.


P.S.: per non sembrar troppo poetico, testimonio con due foto come la trasformazioni verso un Australian Look non sia stata, nel mio caso, del tutto completata. I veri miti (scoprite voi a cosa mi riferisco) non tramontano mai...



Le scarpette rosse

Una lunga fila di laghi salati ci accompagna nel primo tratto del volo di ritorno verso Sydney. 

Il bush, con la sua vegetazione sparsa sulla terra rossa dell'Outback, visto dal finestrino dell'aereo traccia sagome colorate e punteggiate come nei bellissimi disegni degli aborigeni. Sembra quasi che la loro tecnica, così al tempo stesso naif e complessa, abbia preso ispirazione  dallo scorcio di questi territori visti  dall'alto. Probabilmente dalla sommità di Uluru o delle Olghe ( così vengono anche chiamate le rocce di Kata Tjuta) si può godere dello stesso effetto ed è da lì che è nata la tradizione dell'arte figurativa locale.
A proposito, anche se non è espressamente vietato dalla legge e sia ancora esistente un percorso guidato con un corrimano simile ad una ferrata che arranca su un costone della montagna,  l'arrampicata di Urulu è considerata un oltraggio alla sua divinità.
I turisti, senza eccezione alcuna, in questi giorni almeno,  sono del tutto invogliati a rispettare questo desiderio. 
Esiste addirittura un registro dove puoi esplicitare la tua rinuncia ed un altro in cui sono raccolte le lettere di pentimento di chi, non conoscendo le usanze locali, si è appropriato di ciotoli o pezzetti di roccia e poi, contrito, li ha rispediti indietro.




In effetti, la particolarità così affascinante di essere un unico masso conferisce ad Urulu un alone quasi esoterico, perfettamente interpretato, nella sua ricchezza di sfumature, dal cambiare del colore durante le ore del giorno ed il corso delle stagioni. 
Un'immagine ancor più d'effetto potrebbe essere quella di vedere le sue espressioni sotto una forte pioggia. Un gigante ranicchiato, con la testa nascosta nella sabbia, lascia che tutte le rughe e cicatrici delle sue spalle siano percorse dai rivoli di un'acqua rara e luccicante come un filone sotterraneo di diamanti riportato alla luce del sole.

  
Lo sguardo ad Urulu ha proprio Il potere di rapirti in pensieri lontani che costeggiano le origini e l'evoluzione dell'uomo, così stranamente simili alle nostre anche in questa terra separata da tutto il resto del mondo milioni di anni fa.
In effetti, le sembianze degli aborigeni che abbiamo visto qui in giro richiamano fortemente quella delle raffigurazione degli uomini primitivi. Anche se sono corpulenti e, a volte, veramente molto grossi, hanno labbra carnose e sporgenti, i capelli arruffati su una fronte un po' sfuggente, e sono, almeno per me inaspettatamente,  molto scuri di pelle. Nel resort ce ne sono alcuni che lavorano, altri, soprattutto donne, che raccolgono le donazioni dei gestori dei locali. Ci diceva il commesso che tutti i ricavati delle vendite dei loro manufatti, dipinti, boomerang, braccialetti e monili, vengono riversati nelle casse della comunità di aborigeni che si estende in tutto il territorio centrale, sconfinando negli stati del West Australia, South Australia e Northern Territories.

Questa loro presenza, così forte nello spirito, ma tanto discreta nella fisicità,  contribuisce a rendere affascinanti, attraenti ed un pochino misteriose le loro tradizioni.

Fossimo da qualsiasi altra parte di un mondo civilizzato, soprattutto nel suo sud, e ci trovassimo nei pressi di un insediamento turistico frequentato  come questo, saremmo probabilmente assediati da venditori ambulanti o intralciati da bancarelle di cianfrusaglie. Qui, invece, siamo immersi in una silenziosa solitudine di benvenuti ospiti di un popolo che sta cercando di ritrovare una dignità calpestata dagli invasori e che ci chiede soltanto di rispettare le loro tradizioni, semplicemente non sostando o fotografando in alcuni punti.

Mentre ci perdiamo entrambi in questi pensieri di confine con le nostre origini, d'un tratto, quasi simultaneamente, ci rendiamo conto del perché Urulu è così magica ed attraente: in questo luogo è raccolta e sintetizzata l'unica vera storia di questa terra. Tutto il resto è solo una copia, troppo recente anche se spesso affascinante di quanto puoi vedere anche da noi.

Urulu è un po' come le piramidi, o il Colosseo, o il Partenone, ma è diversa per il fatto di essere così unicamente naturale e non frutto di un artefatto umano.
Per quanto belli ed impressionanti possano essere i monumenti che ho citato sopra, la caratteristica di essere così "unicamente" legata alla storia dello sviluppo dell'uomo qui, in questo universo così isolato fino a pochissimi secoli fa,  gli conferisce un fascino ancor più ancestrale, quasi sovrannaturale.

Assieme alla forza naturale  degli alberi e degli animali, così diversa da quella a cui siamo abituati, è proprio questa rivelazione della multiforme unicità  di Urulu, l'impressione che porteremo a casa con maggior emozione.

Poi, più prosaicamente, un'altra cosa almeno io porterò di sicuro a casa: le mie scarpette da tennis.
Benché oramai si siano trasformate in letali armi chimico-batteriologiche, sono diventate tutte rosse grazie alla polvere  che ha accompagnato i nostri passi in questa magia assolutamente unica.

Le terrò così fino alla prossima volta che sarò qui.
A dispetto della lontananza e dell'unicità che sembra prevalere in ogni aspetto di questo posto (anche nel fatto che sembra difficile pensare di tornare qui una seconda volta) vorrei invece farvi ritorno con Elisabetta per condividere questa magia da una diversa angolatura.
Ogni promessa è un debito....

P.S.: Stanotte la sveglia ha funzionato bene e così, un po' assonnato, sono andato sul belvedere  per provare a ritrarre Urulu in vestito da sera. A dir la verità prima di arrivarci senza Enrico a cui in fatto di orientamento mi affido totalmente,  mi sono perso un paio di volte.


Dopo un po'  però mi ha raggiunto anche lui. Mi ha piacevolmente colto di sorpresa e quando mi ha rivolto la parola, io, mezzo rimbambito dalla notte e ormai completamente orbo anche di giorno, l'ho scambiato per uno straniero e gli ho risposto :"Sorry?".
La storia della  vista che non c'è più impatta un bel po' sulla qualità di foto prese al buio. Mettere a fuoco l'immagine è un lancio ai dadi più che una tecnica precisa.
E poi, le luci del villaggio disturbavano parecchio, quindi il risultato, anche 'sta volta non è un granché. Il profilo di Urulu, si vede laggiù in fondo e sopra di lei (o lui) un manto stellato con il braccio della Galassia la (o lo) proteggono dagli spiriti maligni.

Un dio non può avere un sesso.







mercoledì 13 novembre 2013

Lungkata e la Tjukurpa

Lungkata era una grande lucertola dalla lingua blu che, ai tempi della Tjukurpa il periodo della creazione prima della comparsa dell'uomo, abitava sulla montagna di Urulu.
Lui e Mati (almeno mi sembra di ricordare da quanto ho letto al museo dove era proibito fotografare anche i cartelli) un'altra lucertola dalla lingua blu, erano però esseri malvagi e ladri. Così un giorno, trovarono un emù che era stato ucciso in una battuta di caccia da due fratelli della famiglia dei Bellbird, una specie di passero.
Lungkata e Mati si affrettarono a macellare e ad arrostire l'emù ed iniziarono a mangiarlo.
Quando i passeri arrivarono nei pressi della caverna dei ladri, alla ricerca della preda, i due avevano nascosto i resti del pranzo e offrirono loro solo qualche misero pezzo di carne.

I passeri si resero conto dell'inganno e, dopo aver finto di allontanarsi, tornarono indietro incendiando la caverna di Lungkata e Mati che presero fuoco e rotolarono giù dalla costa della montagna annerendola e bucherellandola tutta, sprofondando in un luogo in cui ancora oggi due grossi massi ne rappresentano i resti assieme ad altri più piccoli che sono i resti dell'emù.

Questa e tante altre leggende che in gran parte non vengono svelate agli estranei, si tramandano di padre in figlio e danno spiegazioni mistiche ed evocative ai mille segni che caratterizzano questo monolite così particolare.

Questa sera, al tramonto ho ripreso qualcuna di queste strane espressioni disegnate da ombre e fori nelle pareti della montagna.



Oggi, bardati da fieri esploratori con tanto di provvidenziale retina di protezione dalla miriade di mosche che nell'ore più calde infestano la zona, abbiamo fatto il giro di Kata Tjuta, l'altro strano massiccio all'interno del parco.
Il suo nome significa molte teste e, in effetti, si presenta come una sequenza di formazioni tondeggianti.
La composizione però, è completamente diversa da Urulu. In questo caso la montagna è costituita non da un'unica roccia, cosa che conferisce ad Urulu un sapore d divinità, ma da un conglomerato di fanghiglia rossa (quella della Genesi, forse...) ed altre rocce tra cui anche il granito.
Il risultato è, cromaticamente, abbastanza simile anche se non all'altezza, ma completamente diverso nell'aspetto a distanza ravvicinata: sembra un enorme mandorlato rosso...


Il giro del massiccio, nove km in tutto, non è di per sé molto impegnativo, anche se ci sono alcuni punti che ricordano le forcelle dolomitiche, ma, fatto a 40 gradi mette comunque alla prova.

Riforniti di bottiglie d'acqua e di qualche frutto, riusciamo a portarlo a termine senza grandi difficoltà. 

Dopo l'uscita al Fraccaroli, un altro buon segnale per la mia voglia di tornare a camminare in montagna!

Nel percorso siamo sempre soli, nessun pazzo, salvo poche eccezioni, si avventura da queste parti. Il silenzio è assoluto ed ogni fruscio evoca la paura di trovarti di fronte uno di quei serpentoni che abbiamo visto al Lone Pine e che di sicuro abitano la zona.
Ma, per fortuna, a parte un paio di aquile, qualche bellbird e una immensa cornacchia, non abbiamo visto tracce di animali.
Il posto è giusto anche per un'ultima foto con il cappello giusto.


Ooops, pardon! Non è questo il cappello giusto, bensì quest'altro:


Ultimo giro nel parco questa sera, per provare, Luna non permettendo, a ritrarre Urulu vestito da sera. Il risultato però non mi soddisfa, il chiarore lunare interferisce troppo e, alle 20.30, il parco chiude per cui non si può riprovare più tardi.
Se ci riesco, questa notte, ci riprovo dal belvedere del nostro campeggio.


Buonanotte ( a me...)

All'ombra dell'ultimo sole

Puntare una sveglia su un telefono che non si usa mai per questa funzione e per di più ancora impostato con l'orario italiano (8 ore e mezza indietro) richiede una certa attenzione.
Bisogna fare dei calcoli che io, ieri sera, lucido come non mai dopo una giornata di fancazzeggio totale,  ho di sicuro sbagliato.

Fatto sta che, alle tre di qui, ora prevista per l'alzataccia, noi ronfavamo della grossa e nessuna sveglia ha turbato i nostri sogni.

Ci ha pensato, per fortuna, lo stesso telefono di ieri mattina, dimenticato con la sveglia puntata alle 4.15 di Brisbane, 4.45 di qua, irrompendo furiosamente in un sogno in cui io ed Elisabetta ascoltavamo Enrico Girardi raccontarci di un articolo da lui scritto su Michelangelo Mangano (lui ed Enrico sono due miei amici di vecchissima data, compagni di liceo) ispirandosi a questo blog. Insomma, quasi un incubo.

Ci siamo alzati di scatto, come scossi da una frustata che ha colpito il nostro orgoglio di uomini fedeli agli impegni presi e, in quattro e quattr'otto, ci siamo messi in strada diretti ad Urulu.

La Luna era già scesa ed il sole ancora un po' lontano dall'orizzonte, quindi siamo riusciti a vedere il braccio esterno della Galassia, le Nubi di Magellano, Orione, le Pleiadi e a fare tre o quattro foto.

Orioni, poi, qui che non c'è il mare e ad un'ora più tarda di quanto fatto a Lady Elliot,  sembra tuffarsi nella Galassia, questo fatto che è a testa in giù ancora mi sorprende.


Guardate come si distingue bene il colore rossastro di Betelgeuse, la sua spalla destra, una supergigante rossa con un raggio di milioni di volte quello del nostro sole. E poi la nebulosa della spada, è veramente marcata la sua diffusione.



Il sole che sorge colora progressivamente Urulu sul lato opposto a quello che abbiamo visto al tramonto, ma l'effetto è meno marcato, o almeno così percepiamo noi. Le ombre e le sfumature sono meno evocative di quelle al calar del sole. E poi, il punto di osservazione è in comune con i bus (quello per il sunset, no) e quindi si viene subito accerchiati da camionate di giapponesi che fotografano a raffica senza chiedersi il perché.


Sentiamo il bisogno di un po' di riposo. Un paio d'ore possiamo concedercele. Se riesco a puntare la sveglia giusta per le 10.30, massimo 11 possiamo ripartire verso Kata Tutja.