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giovedì 31 ottobre 2013

La regola del contrasto

Qui a Sydney sono quasi le sei di mattina del primo novembre, le 8 di sera del 31 ottobre in Italia.

Mi sono svegliato di soprassalto, dopo aver dormito poche ore, mentre stavo facendo un sogno strano in cui mi nascondevo con Elisabetta in un vagone ferroviario che però si apriva in una grande stanza con taverna.

Tra poco devo svegliare i ragazzi per tentare una violazione del secondo principio della termodinamica: far diminuire l'entropia dei nostri possedimenti qui, dall'altra parte del mondo, e farli rientrare nelle valigie e negli zaini. 

Ci vorrà del tempo ed anche un po' di fortuna!

Nel frattempo non riesco a non pensare a questi due giorni e mezzo a Sydney.
Sarà che questa storia di vivere nel futuro, rispetto ai tuoi affetti, è così in contrasto con quella sensazione un po' disorientante, ma così chiara nei giorni sereni come ieri, che il sole abbia sbagliato strada e stia tornando indietro (il sole qui, va da destra a sinistra e quando lo noti ti sembra che abbia invertito la rotta), sarà che qui non riesci mai a capire da dove arriva la macchina o come si apra un rubinetto, fatto sta che, ad un certo punto, ti arrendi, molli gli ormeggi e ti lasci andare.

Non alla deriva però, anzi. L'impressione dominante è di muoverti in un mare trafficato, si, ma amico. Dove i venti, da ovunque spirino ti portano in posti piacevoli. Dove le spiagge, ovunque approdi ti riservano soggiorni rilassanti.

Il fare amichevole della gente, così diverso da quello sperimentato a Cuba meno spontaneo, più costruito, forse un pochino più del tipo : "noi qui siamo i migliori e staremmo bene anche da soli, ma siamo buoni con gli stranieri soprattutto quelli che ci hanno dato le lontane origini" ti mette comunque a tuo agio.
Quando puoi entrare all'Opera per ritirare i biglietti  in costume da bagno (non c'è nessun controllo burocratico né all'ingresso, né al banco) con una muta sporca di sabbia appesa ad asciugare sullo zaino, senza che nessuno ti guardi male o, tanto meno, ti dica niente, ti viene spontaneo rilassarti.

Ecco, questo senso di distacco dalle regole più convenzionali, più che un beneficio dell'essere in vacanza è il plus di questa città che, a distanza di mezz'ora, può essere Londra o Miami.
E' vero,  quando sei in vacanza puoi scegliere tu se essere nella city o a cavalcare un'onda ed il tempo non è così importante come quando lavori, ma mezz'ora è davvero poco e un costume, sotto il vestito, ce l'hanno, secondo me, anche i bankers con la cravatta un po' allentata che si incontrano sotto i grattacieli della City.

Fra poco, ci muoviamo in un'altra Australia, quella meno popolata dove ha vissuto Luca.
Là, forse, il contrasto sarà meno inebriante. 
Sarà buffo calpestare i suoi passi in questi mesi. Lo faremo con discrezione, senza disturbare.

Scialli, sciolti, tralli, questa sembra essere la regola qui, dall'altra parte del mondo.






There is no world without Verona walls

Doveva essere un musical, invece è stato un dramma.

Ma solo nel senso che l'unica frase che ho capito per intero è stata quella che conoscevo.
L'abbiamo aspettata, acquattati sulle ultime tre poltrone trovate libere su internet martedì sera.

Per il resto, il dramma, recitato nel Drama Theatre, non nell'Opera Hall, è stato molto bello. Soprattutto per la assoluta bravura degli attori e per una scenografia, moderna, minimalista e dinamica che ha reso la più "lamentable" delle opere shakespiriane un po' meno sonnolenta del previsto.

E noi, di sonno ne avevamo molto.
Dopo una giornata passata a surfare e a fare compere a Manly Beach, una spiaggia più affollata (ma sempre semi vuota) e, soprattutto, più turistica di Bondi Beach.

La temperatura, un po' più calda ha evitato il ripetersi (quasi certo) dell'incidente del vestimento delle mute.

I ragazzi hanno fatto con le magliette e, grazie a delle onde più regolari, sono riusciti a stare in piedi più di una volta. In uno dei due tentativi, sono riuscito anch'io a fare un brevissimo tratto quasi in piedi...

Per il resto li ho fotografati, accompagnato dal vociare dei ragazzi delle superiori che, in divise differenziate per classe, trascorrevano l'ora di ginnastica giocano a beach volley nei numerosi campi disseminati all'inizio dell'arenile.



Un succulento piatto di pesce (per Enrico e me) ed una insalata con patate fritte per Luca hanno fatto da supporto al nostro pranzo assai tardivo. E' davvero un gusto fare due parole coi camerieri. Sono sempre così gentili, a partire dalla ragazza orientale, studentessa  di psicologia che stamattina ci ha servito la colazione nel baretto fuori dell'albergo.

Prima di tornare per fiondarci in albergo a renderci un po' più presentabili in vista del teatro, abbiamo saccheggiato un po' tutti i negozi di magliette e calzoncini tipici australiani.

La trasformazione, anche per noi due novizi, sta iniziando a prendere forma...


L'altra faccia di Sydney (30 ottobre)


Si fa presto a farsi un'altra idea di Sydney e a scoprire un suo carattere particolare ed unico che la distingue dalle città a cui troppo assomiglia.

Basta andare a Bondi Beach, la sua spiaggia più famosa.

Da Bondi Junction si prende un bus che costeggia, ondeggiando, quartieri residenziali dall'architettura disordinata nello stile, ma gradevole all'aspetto.
Il colpo d'occhio della baia mette subito di buon umore. La spiaggia, di un color crema acceso che ricorda il gelato al malaga, si tuffa in un oceano bianco verde azzurro increspato, verso riva, da un reticolo scomposto di onde spumeggianti qua e là cavalcate da qualche impavido surfista.



Che poi sarebbe anche il nostro obiettivo di questa mattinata in spiaggia.
Anche se il tempo non sembra aprirsi al sole che ci aspettavamo, ci infiliamo nel primo negozio di noleggio surf che troviamo aperto.

Il commesso, vero prototipo dell'australiano frichettone, capelli ricci biondi, un po' incolti e slang un po' trascinato, ci consiglia di affittare anche una muta. Qui considerano questo clima ancora freddo...
Io ho portato quella corta dall'Italia e spero che basti, Luca ed Enrico si infilano invece in camerino per provarsi quelle del negozio.
Una volta infilate le gambe, escono dal camerino per completare la manovra, ma mi sembra che fatichino un po' troppo ad indossare la parte superiore.
Il commesso, alza lo sguardo e, dopo un breve attimi di smarrimento, scoppia a ridere, per la verità compostamente e fa notare che hanno scambiato il fuori con il dentro!
I due, con scioltezza abilmente dissimulata, rientrano per girare il verso della muta.
Luca è il primo ad uscire come prima con la parte sotto calzata.
Il commesso lo guarda. Poi mi guarda e scoppia di nuovo a ridere. Questa volta meno compostamente, poi, guarda Enrico che sta uscendo anche lui con la muta mezza calzata.
In un attimo avviene tutto.

Enrico si rende conto che stiamo ridendo perché Luca, questa volta, ha invertito il davanti con il dietro. Guarda dove ha la sua cerniera e si accorge che anche lui ha invertito i lati. Con uno scatto fulmineo, pensando di non essere visto, fa il gesto di sfilarsela, ma al commesso, ancora piegato in due dalle risate, la cosa non sfugge. A quel punto non c'è più limite, sia io che lui esplodiamo letteralmente!
Alla padrona che arriva incuriosita da tanto divertimento, singhiozza lacrimando qualcosa sui due guys che hanno sbagliato per due volte ad indossare la muta.
Poi, dopo essersi a fatica ricomposto, come se niente fosse, ci chiede se siamo principianti.

Si..., principianti  sarebbe già qualcosa! Qui mancano proprio i fondamentali...

L'arenile è  molto profondo. Su, a riva, una costruzione leggermente liberty chiamata Bondi Bay Pavillon, ospita dei negozi, bar ristoranti e servizi.
Sulla spiaggia c'è poca gente. Sarà il fatto che le nuvole impediscono al sole di scaldare, o forse la stagione.
I due ragazzi si scatenano subito in inutili e faticosissimi tentativi di cavalcare le onde, ma il loro intreccio irregolare rende difficile le manovre di arrembaggio della tavola e ancor di più quella di stare in equilibrio su di essa.
Provo anch'io, ma a malapena riesco ad evitare di farmi travolgere dalle onde senza danni... Troppo faticoso!
Delle mille foto fatte, qualcuna dà l'impressione che, almeno a loro, l'impresa sia riuscita. Ma è una pura illusione ottica ottenuta rendendo eterno il durare di un secondo.







A pranzo, un bel piatto di pesce fritto e una Caesar salad al ristorante del Pavillon riequilibra le energie.
Una lunga passeggiata ci aspetta.
Da Watson Bay che abbiamo raggiunto con un autobus, torniamo a piedi verso Rose Bay dove ci aspetta il ferry per Circle Quay, snodo per ogni posto,
Anche in questo tratto, l'autobus attraversa le strette stradine di un quartiere residenziale. Sembra più nobile del precedente. Ai lati file si macchine di buon rango stanno parcheggiate davanti a villette di pregiata architettura. Nonostante  i saliscendi, ricorda a tratti Oak Park, il distretto di Chicago con le ville di Wright.

A Watson Bay, un belvedere mozzafiato, punta il suo dito verso l'oceano. Noi ci incamminiamo verso la città, attraversando parchi e sostando in alcune spiagge dove i ragazzi fanno il bagno ed io, invece, faccio amicizia con un cane coccolone  si nome Tucker.

Provo a vedere se risponde ai comandi di Asia, ovviamente tradotti e, di fatto riesco a farlo sedere e a farmi dare una zampa.
Quando provo con  un "ciapa el gato" però mi guarda perplesso e si abbandona alle mie carezze a pancia in su.
Un pezzo in bus ci risparmia per fortuna lo scollinamento verso Rose Bay. Luca, spesso ci distanzia col su penny, il minuscolo skateboard che padroneggia con australiana confidenza.
Al porto, a fianco dell'attracco del ferry è ormeggiato uno di quei barconi-ristorante apparecchiato a festa.
Una folla di ragazzi chiassosi e vestiti a festa si è data appuntamento qui davanti. Probabilmente una festa di classe a cui le ragazze partecipano in minigonna barcollando su un tacco 15. Enrico e Luca di distraggono parecchio alla loro vista e i commenti poi, sul ferry - un velocissimo catamarano - sono quasi tutti su quelle ragazze vestite in nero.

Sul bus verso casa ed in camera, scaricando le foto, la discussione è,  invece, monopolizzata dai commenti sulla bellezza della giornata. Tanto più dopo che il tempo, sistematosi al sereno, ha illuminato con decisione anche i particolari di quanto abbiamo vissuto oggi.
Si cena al ristorante giapponese di fronte a casa. Come dappertutto, i camerieri sono gentili ed ospitali. Quando sentono che vieni dall'Italia, si illuminano e danno un segnale di apprezzamento.
Qui la politica non interessa a nessuno e quindi, per fortuna, nessuno almeno finora ha associato l'Italia a Berlusconi, come avviene nel resto del mondo.

Il centro di Sydney che raggiungiamo col metro, riacquista by night un fascino meno anonimo. Forse la giornata spettacolare influisce nel giudizio, ma stasera la città sembra avere un po' più anima.
Ho negli occhi gli splendidi dintorni e questo aiuta!
Torniamo distrutti in taxi, dopo aver assaggiato un gelato al gusto "veronese chocolate", un nostro "bacio" un po' annacquato.

Qui Verona è indissolubilmente legata all'amore e ai baci di Giulietta e Romeo.

Quelli che, domani sera, dovremmo intuire nel musical all'Opera.


mercoledì 30 ottobre 2013

Sydney

La prima impressione è quella che conta.

È a Sydney, la prima impressione che hai è di essere in un collage composto con un pezzettino di Chicago, un po' di New York e un bel po'  di Londra.

Il nostro albergo, un po' deludente,  si trova vicino alla stazione di King Cross. Ci rilassiamo un po' dopo aver fatto esplodere le valigie e gli zaini ed aver cosparso la camera di biancheria e cianfrusaglie. Da qui si può scendere a piedi verso la baia attraverso il Parco Botanico. Decine e decine di alberi tropicali con mastodontici ficus e particolari specie di conifere che non vedi nell'altro emisfero, accompagnano il leggero pendio erboso. Qua e la degli strani uccelli dal becco lungo e ricurvo, becchettano il terreno alla ricerca di cibo. Sono grandi come fagiani. Luca ci racconta che sulle prime aveva preso a fotografarli come avesse visto un'aquila reale, poi gli hanno spiegato che qui sono comuni come da noi i piccioni. 
La natura, quella si, ci ricorda che siamo nell'emisfero australe. 


Un sacco di gente, quella non obesa, fa jogging sulla pista che a tratti è di legno marino come  ill ponte di una nave antica. La lunga costruzione portuale che affianca la base militare dove stazionano delle grandi navi da guerra (da chi dovranno mai difendersi gli australiani?), ricorda molto quello di Chicago e deve, in effetti, risalire a qualche secolo fa.

In un attimo si arriva al teatro dell'Opera con le sue caratteristiche cupole. La forma sembra quella di gigantesche tartarughe piastrellate. Il rivestimento è infatti fatto da piccole piastrelle color avorio. Ricordano quello di certi casermoni anni '70 e, in effetti, il teatro fu inaugurato da her majesty Queen Elisabeth nel 1973.


L'interno, rivestito di legno chiaro è imponente. Proviamo a vedere se ci sono  tre posti per lo spettacolo Romeo and Juliet che Luca vorrebbe vedere più che altro per la vicinanza con la città di ambientazione, ma la signorina alla cassa smorza il nostro entusiasmo. Tutto pieno. Forse su internet c'è ancora qualche biglietto. Gentilmente ci fornisce l'indirizzo di un sito dove provare.

La passeggiata verso il cuore della città conferma la prima impressione. 
Sydney sembra non avere una sua impronta caratteristica, a parte le cupole dell'Opera, ma piuttosto è la copia ribaltata delle città del nord da cui provennero i suoi abitanti. La sopraelevata in ferro ossidato che scorre vicino ad una moderna nave di crociera qui ormeggiata, ricorda Chicago. Certi grattacieli dei soliti colossi bancari ricordano New York, così come la via principale che potrebbe essere Oxford street o una copia ridotta della Fifth Avenue. C'è persino un parco che si chiama, manco a dirlo, Hyde Park!

Ceniamo in un ristorante argentino, il Gaucho, in Stanley Road, non lontano dal nostro albergo e di ritorno da questa lunga passeggiata. Carne buona e padrona molto ospitale. Si interessa a noi è ai nostri programmi con discrezione offrendoci aiuto anche in spagnolo, perché quando sente che siamo italiani, preferisce parlarci così.

Nonostante il fuso, la stanchezza e l'emozione e, anche se, più che in Australia mi sentii a Londra, il sapore di vacanza inizia a pervadermi leggero ed attraente. 

Domani, tempo permettendo, ci aspetta ill mare di Bondi Beach.

martedì 29 ottobre 2013

Un altro livello

Sull'aeroporto infuria una tempesta di vento che ritarda un po' tutti i voli. L'attesa diventa quindi una sofferenza sempre più beffarda. Non stiamo nella pelle dal rivedere Luca, ma il suo aereo continua a non comparire nel monitor vicino a noi.
Faccio due o tre volte un giro al piano di sotto, dove sono riportati più voli e anche lì, nessuna traccia. Una voce si scusa, chiedendo comprensione per il fatto che, a causa delle forti raffiche di vento, tutti i voli subiranno ritardi. Ne approfittiamo per osservare attorno a noi. Due cose mi colpiscono: la la prima, molti australiani sono grassi, anzi obesi direi, ma sembrano sempre ben disposti a chiacchierare. La seconda: la sinistra si tiene non solo nelle strade, ma anche sulle scale mobili e i rubinetti si chiudono nel verso in cui da noi si aprono. 
Forse qui la destra è progressista e la sinistra compra i parlamentari. Chissà, dopo chiedo a Luca...

Alla fine il vento si è un po' calmato e gli aerei hanno ripreso ad atterrare.

Ci spostiamo in zona sbarco e iniziamo i preparativi. Enrico di vedetta con la gopro (ovviamente scarica ed inutile) io un po' più indietro con i cappelli pronti ed il finto tabellone sull'iPad.



L'accordo implicito con Enrico era che lui doveva avvisare me senza farsi notare, ma quando Luca, dopo un tempo che ci è sembrato infinito, è comparso al livello superiore, non ha resistito ed ha cominciato a sbracciare vistosamente nella mia direzione attirando l'attenzione di Luca che, colto di sorpresa perché pensava fossimo più avanti, ha accelerato sorridente nella mia riduzione, rendendo così superfluo il cartello ed impossibile la sorpresa.

È stato come se ci fossimo lasciati mezz'ora fa a Malpensa, il 3 di luglio e ci fossimo rivisti adesso, mezz'ora dopo, a Sydney.
L'abbraccio forte e prolungato mi ha rivelato un Luca cresciuto e muscoloso come non è mai stato. S vede che la palestra o le fatiche prolungate di questa scuola Oceanica gli fanno bene...

Ecco, ora siamo pronti per la città. Solo una veloce fotografia e poi in taxi verso l'albergo.

La vacanza vera, inizia adesso. 



lunedì 28 ottobre 2013

Gi gnomi in attesa...

Atterrati a Sydney!!!
Tutto fila liscio, incluso le operazioni di sdoganamento delle nostre valigie piene di niente.
25 gradi ed un tempo da estate avanzata ci accolgono un po' annebbiati (sia noi che loro...) assieme ad un puzzo di fritto che sa tanto da United States.

Dopo qualche esitazione da turisti imbranati, arriviamo al T2, dove il terzo gnomo dovrebbe atterrare tra un paio d'ore.

11 dollari australiani (circa 8 euro) per il bus che porta qui dal T1 dove siamo atterrati noi...

Il breve tragitto è infestato dal traffico pesante di lunghi truck americani. Una seconda pennellata di nordamericanità.

Riportiamo un po' delle nostre radici di gnomo preparando il cartello di benvenuto per Luca  (tipo quello che hanno gli autisti) ed immortalandoci col cappello rosso seduti in un bar della zona arrivi.  Mi sento che faremo fatica a difenderle...

Benvenuti in Australia!!!






Polli all'ingrasso

L'Airbus 380-800 ( non 400' come ho erroneamente detto nel post precedente) è veramente mastodontico. Il tempo per le operazioni di imbarco è veramente minimo, in un attimo siamo a bordo grazie al finger triplo : first class (non è il nostro...) mani deck, upper deck (il nostro). È questo, nonostante la ripetizione dei controlli sui bagagli a mano. Verso l'Australia non si può imbarcare alcun tipo di cibo che non sia stato acquistato, incellofanato, ritirato e poi riconsegnato qui al banco partenze da una schiera di solerti impiegati in divisa azzurra.

Le poltrone delle file laterali, nel piano superiore, sono soltanto due. Quelle centrali quattro e l'impressione è che, sia pur le poltrone siano le stesse del Boeing 777 di ieri, il posto a disposizione sia maggiore. In effetti, vicino al finestrino, anche per attutire la curvatura della carlinga, ci sono dei capienti e comodi gavoni in cui riporre le cose. Ne approfitto, usandone uno per "proteggere" il mio cuscino da tentativi di rapimento di vicini ingordi di morbidezza.

Sono curioso di vedere se il decollo di un bestione simile ha qualcosa di speciale. Già dalle operazioni di trasferimento a terra ti rendo conto che è particolare: qui, dal piano superiore, anche aerei grandi appaiono come modellini in scala 1:5! Poi, la fase di rullaggio sembra al rallentatore. L'impressione è che l'animale, con le sue ali smisurate, stacchi tra terra lentamente senza lo strappo e l'accelerazione che ti attacca al sedile e che accompagna, ogni settimana, i miei viaggi da e per Monaco.

Una volta in aria, lo spettacolo di luci delle navi che si approssimano al porto riflette, quasi come in uno specchio, quello delle stelle su nel cielo.

Orione è allo zenith! L'equatore celeste passa proprio all'altezza della sua cintura e quindi lui se ne sta appeso, come in bilico, proprio dritto sopra la nostra testa. Non siamo ancora alla sua capovolta ambiguità (rif. Francesco Guccini, Argentina), ma si inizia ad intuire la fine che farà una volta che saremo giunti nell'emisfero australe.
Riesco a distinguere anche Auriga e Sirio e, anche se smerigliato dal finestrino dell'aereo, mi sembra che questo cielo abbia una profondità diversa e più contrastata di quello che siamo abituati, oggi, a vedere dalle nostre parti.

Enrico, invece, si perde tutto. Appena seduto, prima ancora che l'aereo si muovesse, cade in catalessi per riemergere, tutto sorpreso, solo quando siamo ormai in piena crociera.


Ci svegliamo (siamo riusciti a dormire entrambi tutta notte) mentre attraversiamo l'outback, dalle basti di Ayers Rock. Probabilmente, dall'altro lato dell'aereo si vedrà anche. Qui, dalla nostra parte, una distesa rossa,increspata da lunghe striature parallele, come quelle del litorale sabbioso di una gigantesca spiaggia prosciugata dalla marea, si estende a vista d'occhio. Non c'è segno di civiltà. Unica avvisaglia, ogni tanto, una pista stranamente attorcigliata e non rettilinea. Con Enrico ci guardiamo ancora stupiti per quello che stiamo vivendo. Ogni tanto ci pizzichiamo, e abbracciamo gongolando soddisfatti per questa avventura. Da queste parti rimbalzeremo alla fine del nostro viaggio, ma per ora non ci pensiamo. Abbiamo ancora da vivere ancora la storia, non ha senso pensare, adesso, al suo epilogo. 

Meglio abbuffarsi, come polli all'ingrasso, appunto, con le omelette serviteci con la consueta grazia orientale dalla graziosa hostess nella sua bella divisa (sfondo blu slavato, forse quella delle più basse in grado, ieri ho detto una cazzata).




Foto per supportare la cultura dei feedback esplicitata due ore fa :)! 

Luca nel frattempo dacci il tuo di feedback! Contribuisci qui! <3! A domani!


Pronti per l'ultimo balzo

Quello che ci porterà a Sydney. Anche se mancano più di tre ore al decollo, diciamo che non stiamo nella pelle. Sarà la stanchezza accumulata in una giornata così strana. 
Strana come questo posto. Singapore sembra un ponte affascinate ed armonico, tra la modernità e la natura. Qui il passato, pur esistendo, ha un ruolo secondario e sembra quasi uno scomodo intruso.

Lo pensi quando vedi le poche costruzioni coloniali rimaste, incassate a disagio tra i moderni grattacieli.
Lo percepisci quando avverti l'orgoglio della nostra guida nel differenziarsi da paesi più tradizionali, soprattutto la Malesia che, nel 1965, dopo due anni di annessione decise che Singapore era troppo un pericolo per Kuala Lampur...

Di converso, l'odore della natura che siamo riusciti a sentire, forte, in quei pochi minuti passati all'aria aperta, un odore speziato, ma non profumato come quello cubano eppure intenso da' la sensazione di impregnarti i polmoni di verde scuro, come le foglie degli alberi intrise di calda umidità.

Oppure, la tecnologia che ti avvolge, pervasiva e  discreta. Come il wifi dell'aeroporto, completamente gratuito e veloce dieci volte quello di casa nostra.

Ecco, questo contrasto, senza antichità, fa sembrare l'Europa, che di meravigliose antichità è per fortuna piena, vecchia.  Non brutta, ci mancherebbe, ma vecchia. Quando penso all'Italia so che è il migliore posto al mondo. Ma, come la sua gente, riese difícilmente  a ritornare giovane. Rimane vecchia, ricoperta da una patina di smog che non riesce più a darle quella lucentezza di un tempo, a farla brillare.
Ecco, questa patina di grigiore e di mediocrità, qui non ho avuto la sensazione di avvertirla. A Singapore sembra tutto nuovo, come i grattacieli, e tutto brillante, come le foglie degli alberi.

Magari è solo perché non ho avuto il modo di vedere il lato brutto, ma Singapore mi ha lasciato la voglia di conoscerla meglio.

Tra poco, a bordo del nostro Airbus 380 400 a due piani, rifletterò su questo,  prima di addormentarmi, spero.

Domani rivediamo Luca dopo quattro mesi.

L'emozione sarà tanta e voglio essere in forza per godermela tutta!

La cultura del feedback

A Singapore la cultura del feedback è imperante e pervasiva. Esci dal bagno e ti trovi un touch screen con una gradazione di facce da excellent a very poor che ti invitano a puntare il tuo dito, ancora bagnato di acqua, per selezionare il tuo livello di gradimento del servizio.

Se rispondi excellent, come è successo a me la prima volta, un messaggio di ringraziamento ti liquida in pochi secondi. Se invece rispondi poor, come è capitato a me la seconda volta, un catalogo di definizioni politically correct, ma efficaci, ti invita a descrivere nel dettaglio se il problema era la puzza, il cesso sporco o la carta igienica mancante.

Quando finisci la selezione multipla dei tuoi fastidi, un compito messaggio ti rassicura sul fatto che il tuo feedback sarà preso immediatamente in considerazione.

Poi, quando comperi qualcosa in un negozio (almeno all'aeroporto) puoi sempre lasciare il tuo feedback su tablet posto giusto a fianco del visore della cassa.
Infine, nei negozi "open space", un operatore, dotato anch'esso di tablet spesso ti tende un agguato chiedendoti un feedback completo e dettagliato sulla tua ultima transazione, che sia andata a buon fine o no, non importa molto...

Chissà se usano metodi simili per i politici. Lo facessero in Italia, ammesso che il riscontro fosse reale, cambieremmo governo ogni altro giorno...

Il giro in città, gratuito e super organizzato, inizia con la folata di caldo equatoriale che ti investe appena esci all'aperto. La solerte guida, sbrigativa, ma cordiale ci racconta un sacco di cose sulla città stato e sui suoi orgogliosi e (benestanti) cittadini. Qui la disoccupazione non esiste e uno su sei è milionario...
Le case governative non sono appannaggio dei più poveri, anzi. In funzione del reddito te ne assegnano una via via più bella. I condomini, altissimi e protetti, sono spesso disposti a cerchio attorno ad aree di svago, con piscine e campi da tennis.

Le costruzioni, in effetti sono molto ardite e diversificate. Nella zone della Marina Bay, i grattacieli delle grandi Banche internazionali, svettano sfidandosi tra loro, mentre sullo sfondo i tre grattacieli che sostengono una nave sfilante, catturano milioni di clic digitali, spesso accompagnati dall'immancabile gioco con la prospettiva sulle mani alzate a sostenerla. 



Abbiamo avuto fortuna, perché nei venti minuti di sosta, la doccia calda di pioggia equatoriale ha dato una tregua permettendoci di emulare una folla di giapponesi davanti alla Torre di Pisa.




La sosta a Chinatown invece è saltata a causa della pioggia. Ci passiamo in mezzo, ma non mi sembra 'sto granché : come in altre parti del mondo, ad esempio Chicago, la zona cinese si sviluppa con le sue costruzioni caratteristiche e le migliaia di negozi di spezie e cianfrusaglie, si sviluppa sullo sfondo della modernità dei grattacieli.


Ma la cosa che impressiona di più, a parte la tempesta che si sta scaraventando sull'aeroporto, facendo notte anzitempo, è la quantità di verde, di piante, fiori, giardini e campi di golf che, nonostante una altissima densità di abitanti per km quadrato, riempiono ogni angolo libero. Inclusi i balconi dei condomini che, per la verità, quando sono popolari offrono in bella mostra anche variopinti filari di panni stesi.
Gli alberi più belli, a parte alcuni ficus giganteschi dai tronchi formati da decine di tronchi intrecciati, sono quelli a forma di ombrello che accompagnano tutto il tragitto verso il centro. Hanno il tronco largo e rastremato e, all'apertura dell'ombrello di rami,ospitano spesso delle grandi piante, a volte con foglia larga come una palma, altre più simili a felci. Con Enri ci chiediamo se sia una forma di simbiosi, parassitismo o mutualismo. La domanda resterà senza risposta, così come il dubbio sul nome di quegli alberi. La guida, sparisce all'arrivo in aeroporto, senza lasciarci il tempo di chiederle se ne conosceva il nome né darci la possibilità di darle un feedback, positivo, ovviamente.

Ora, Enrico sta crollando dal sonno. Ci concediamo una sosta di 5 ore in una lounge pay per use. Vediamo se recuperiamo qualcosa.

Nel frattempo... Luca, dove sei? Che stai facendo? Fatti vivooooo!

domenica 27 ottobre 2013

Landing in Singapore :)!
La concentrazione di barche che stanno entrando nel porto è evidente... Ne arriva una ogni 3 minuti! Visto dall'alto sembra uno sciame di api in avvicinamento...

Il cuscino rapito

Nonostante le centinaia di persone, l'imbarco si svolge velocemente e senza intoppi. Sulle nostre poltrone, 36a e 36 c, finestrino e centrale, troviamo il necessario per tentare di dormire durante il lungo tragitto (12 ore circa): un cuscino ed una copertina di lana. Con qualche manovra di troppo, dovuta alla concitazione dei nostri compagni asiatici che sembrano aver smarrito la pazienza dimostrata alla coda del check in, ci accomodiamo. Il sedile non è neanche troppo stretto, pensavo peggio, ma ha una seduta un po' dura e forse troppo massacrata dalle migliaia di sederoni che l'hanno massaggiata prima di me.

Le hostess, magrissime e molto, molto carine, indossano un vestito attillato, senza giacca. Una fantasia da batik orientale, sui toni, per la verità molto slavati, del blu, arancione alcune (forse le più alte in grado) sul verde arancione le altre. Alla prima che vedo penso però ad un lavaggio troppo aggressivo, 

Nell'attesa di partire, alla ricerca della concentrazione per riuscire a dormire durante il volo nonostante l'orario, faccio delle prove di sistemazione, gonfiando il cuscinetto/collare e sistemando quello che ho trovato sulla poltrona a ridosso del finestrino. Mi sembra che, durezza della seduta a parte, ci si possa sistemare decentemente.

Subito dopo il decollo, mi accorgo però che il mio cuscino è sparito! Non lo trovo sotto il sedile, né da nessuna parte. Probabilmente mi è caduto dietro, ma le due signore giapponesi imiterò noi (che hanno la fortuna di viaggiare col posto centrale vuoto) non danno segno di averne visto le tracce. Scomparso, nel nulla. Forse rapito dalle nostre compagne dietro che lo avranno sicuramente usato per ammorbidire la seduta...

Verso  le 16.30, ci servono la cena: pollo in salsa di ostriche, riso basmati, qualche verdura lessata e formaggino. Poi, come dessert un gelatino Sammontana. Mmmm che buono!
Per avere il pollo io ed Enrico abbiamo riso come pazzi perché, arrivato il nostro turno, era finito!
Abbiamo aspettato un po', ma almeno è arrivato. Non come il mio succo che, anche, era finito, ma non era più tornato... Stessa storia del cuscino!

Durante il viaggio, faccio spesso training autogeno per rilassarmi e per dormire. In effetti però funziona perché riesco a riposare qualche ora anche grazie al cuscino di Enrico che impietosito dalla mia anziana disperazione, gentilmente mi regala. Lui invece non riesce a dormire e passa il tempo a guardarsi i film. 

Poi, verso la fine del viaggio, gli cedo il mio posto vicino al finestrino, ma di fatto non recupera un granché ed ha appena iniziato a sonnecchiare quando, uno steward, brutto come la fame e vestito con un anonimissimo completo blu, lo sveglia per chiedergli se vuole un omelette! 

Siamo in arrivo a Singapore!

Durante la fase di atterraggio cerchiamo inutilmente di vedere la skyline della città, ma, uno, siamo dalla parte sbagliata, due, una leggera nebbiolina associata a delle basse ed afose nubi tropicali ci impediscono ogni preview. Rimandiamo tutto al tour guidato col bus che faremo più tardi.

L'aeroporto è enorme e incredibilmente silenzioso. Quasi deserto. Arriviamo al baracchino del tour organizzato che è verso i gate B e prenotiamo per il giro delle 14.30. Dovendo aspettare un po' ne approfittiamo per entrare in una serra tropicale dove allevano bellissime farfalle 



e poi per ricaricare le batterie degli aggeggi elettronici. 

Quelle nostre, di batterie, mi sa che non si ricaricheranno tanto facilmente...



Il prode destriero


Al banco del check-in, la coda è già lunga anche se mancano più di tre ore alla partenza del volo. Un fiume di  persone dai tratti orientali, intervallate da mastodontiche valigie colorate, aspetta pazientemente l'apertura dei banchi. Enrico ed io ci accodiamo rassegnati, ma tranquilli. Abbiamo tutto il tempo che serve.
Poi, mentre gli impiegati di terra si dispongono nelle loro postazioni ed iniziano ad armeggiare con i computer e le stampanti, mi accorgo di un banco indicato da un monitor con la scritta "Internet check-in".
Enrico si informa e capita quello che nella mia lunga e navigata esperienza da "ultimo della coda" è senz'altro un miracolo. Quello è effettivamente il banco per chi, come noi, ha provvidenzialmente già effettuato il check in da casa. Per di più, è completamente vuoto. Ci sembra davvero impossibile che, tra tanta gente, nessuno abbia fatto come noi. Un po' guardinghi e con l'aria di chi è pronto a tornare indietro con le orecchie basse ci avviciniamo alla linea di attesa.
Siamo, non solo i primi, ma anche i soli!
Dopo qualche minuto le operazioni iniziano e noi, più increduli che consapevoli, salutiamo alleggeriti dei nostri bagagli (si fa per dire...) la lunga fila degli sfortunati che non hanno sfruttato, forse solo questa volta, la tecnologia...

Per partire, sono partito... Tra poco più di un'ora mi ritrovo con Enri a Cadorna. Luca sta dormendo, o almeno spero, dall'altra parte del mondo. Fa un po' strano pensare alla lunga distanza che stiamo andando a percorrere ed al modo, antico, con i "miei" treni con cui ho iniziato a percorrerla...
In questa domenica assonnata e graziata dal ritorno all'ora solare, i viaggiatori attorno a me sono rilassati. Il mio occasionale compagno di viaggio è un gigantesco giamaicano, con i capelli rasta ed un paio di cuffie in testa. Mi ha salutato con educazione quando ha preso posto di fronte a me. Tutto un altro modo rispetto a quello in cui l'hanno squadrato i poliziotti della pattuglia di controllo della Polfer. Quanta strada, dobbiamo ancora fare... In tutti i sensi...

sabato 26 ottobre 2013

Anche i tre cappelli da gnomo sono pronti!
E' iniziata la manovra di rientro dallo spazio. Come succedeva alle navicelle Apollo, anche noi stiamo entrando in zona silenzio radio con la base spaziale di Hervey Bay. Ristabiliremo il contatto nella parte arrivi, terminale 2,  dell'aeroporto di Sydney martedì 29 alle 14.15 circa, ora locale.

Buon viaggio ai tre astronauti!

venerdì 25 ottobre 2013

giovedì 24 ottobre 2013

Quasi tutto pronto... Tra qualche giorno si parte!
Luca ha preparato un piano di accoglienza coi fiocchi. Forse un pochino impegnativo, ma senz'altro ci proveremo!
Sydney, arriviamo!!!