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venerdì 8 novembre 2013

Il paradiso fa attendere

Il paradiso dei surfisti oggi non ha voglia di esaudire i desideri dei miei ragazzi.
Le onde sono basse e disordinate, un pochino come il primo giorno a Bondi Beach.

In un baretto sul lungomare, in mezzo ai rimasugli dei bagordi notturni che sembrano ricomporsi in questa città un pochino finta ma con un suo fascino,  facciamo la colazione. Come quasi sempre accade qui, in hotel non è nemmeno contemplata.
Ad ogni modo con 10 $ (7 euro) trovi un "all you can eat". Il nostro non è  neanche male e si può approffittarne per saltare il pasto più tardi.

Osservando il mare, i due apprendisti cavalieri delle onde, delusi,  fremono e così dibattiamo se spostarci un po' più a sud. 
Luca, consulta il notiziario delle onde e ci convince che a Coolangatta, una trentina di chilometri a sud di qui, ci sarà modo di surfare.

Cedo, senza opporre resistenza e ci mettiamo in macchina. Finestrini abbassati e musica commerciale con i bassi che rimbalzano tra i rumori dei lavori per la costruzione del light train in centro città ci danno il tono da locali un po' sballati.

Le onde a Coolangatta sono appena un po' più grandi ed ugualmente disordinate. Ma non sia mai detto che i due desistano, Pur limitandosi ad una sola tavola, passano la giornata ad alternarsi nel tentativo di rimanere in piedi a cavallo delle flutti.
Enrico, che dimostra più determinazione, riesce a fare qualche passaggio dignitoso. Luca un po' meno e glissa sulla scarsa prestazione con un po' di altezzoso disprezzo di queste onde.

Io, invece, prendo un'altra onda, quella  del sonno e mi faccio una sonora dormita accarezzato da un venticello e da  un sole caldo ed indisturbato.

Di ritorno in albergo si consuma il dramma del rifornimento di benzina. La brillante Nissan Pulsar necessita di rabbocco, ma, al momento di rifornirla non capisco se sia diesel o benzina. Sul tappo non c'è scritto niente e nessuna indicazione nei documenti o nelle carte. Provo a chiedere al gestore, ma è un indiano e, anche qui, come a Sydney, fa di tutto per non dire niente di sensato.

Mi salva Luca che,  in mezzo a sonore risate per una serie di battutine, telefona all'assistenza dell'Europcar. Un signore, che prende il telefono per sbaglio,  aiutato dal numero di targa della macchina ci indica però il giusto  tipo di carburante.

Dopo la doccia, ci spariamo un sushi al giapponese, dato che oggi abbiamo mangiato solo un gelato (di nome italiano, di fatto annacquato). La cosa bella è che qui esistono anche i sushi di pollo e quindi Luca può tranquillamente cenare con noi.

Non è stata una giornata granché interessante, confrontata a tante altre.
Questo posto è un divertimentificio poco consono al tono più selvaggio della vacanza.
Luca però ci tiene tanto perché, dopo mesi di isolamento, aveva proprio voglia di un po' di vita agitata. Accontentarlo non è una grande sofferenza, in fondo. Anzi.

Questa sera a cena, ci siamo scambiati delle impressioni e, alla domanda se vivremmo qui per sempre, tutti abbiamo risposto no.
Poi, Luca ha condiviso la mia impressione sull'Australia, che può sembrare strana, ma è la stessa che lui ha provato.
Nonostante i grandi spazi, le distese aperte, la libertà di movimento e nel vestirsi, la gentilezza e affabilità delle persone, la sensazione di fondo è che l'Australia sia un pochino claustrofobica.
Non nel senso che ti manca l'aria o lo spazio, Piuttosto, questo diffuso senso di leggerezza e precarietà e forse, ancor di più, la mancanza di una storia alle spalle ti dà un senso di instabiità  che ti spinge a cercarla da un' altra parte.

E, in fatto di storia, con tutto il senso di sostegno e di forza che l'averne una ti fornisce, l'Europa e ancor più l'Italia sono senz'altro un posto più adatto per sentirsi a casa..

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