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martedì 5 novembre 2013

La sabbia negli occhi

Abituati al rumoroso starnazzare degli uccelli di Lady Elliot, il silenzio della selvaggia foresta pluviale di Fraser Island sembra quasi innaturale.

Dopo un pick up un po'  in ritardo davanti alla Marina di Hervey Bay ed un breve trasbordo su di un traghetto che arranca lentamente sulle onde in controvento, siamo sbarcati qui, sull'isola di sabbia più grande al mondo. Più di 100 km di lunghezza.
Alla foresta ci si arriva solo con mezzi a quattro ruote motrici e, anche quelli, a volte, si insabbiano ed avanzano a fatica. Le sole vie di comunicazione sono infatti delle piste di sabbia, soffice e profonda.
Solo lungo la costa, quando la marea lo consente, si può sperare di viaggiare senza sobbalzi. Per il resto è un vero e proprio camel trophy. In certi punti, se non indossi la cintura, rischi di sbattere contro il tetto.

La foresta è popolata da alberi caratteristici di quest'isola, le satinay (non ho trovato una traduzione in italiano). Il nome latino, per chi fosse interessato, è Syncarpia Hilli.
Hanno dei tronchi grandi e diritti, rossastri e molto incisi. Possono arrivare a 40 metri di altezza. La guida, un simpatico locale di nome Cameron che parla un inglese a me incomprensibile, ce ne indica uno che ha più di mille anni. Al loro fianco, a volte appaiati, sottili palme o robusti eucalipti.
La cosa che colpisce maggiormente però è il sottobosco. Migliaia di felci, di chicas, di mirtacee e di piante molto simili al lauro crescono rigogliose all'ombra di questi colossi.

Sulle prime, tutto questo verde ti confonde la  percezione di essere su un'isola di sabbia. Addirittura, le foglie morte, che conferiscono al terreno un colore verde marrone, fanno sembrare le piste di sabbia come tracce artificiali che solcano un terreno più, come dire, tradizionale.
Invece basta spostare un poco il fogliame e ti rendi conto che qui il suolo è davvero interamente fatto di sabbia. Bianca, fine, quasi polverosa è impressionante immaginarne la quantità, dato che l'isola è molto estesa.

Attraversando la foresta si possono raggiungere alcuni dei 40 laghi di origine pluviale appollaiati, letteralmente  (perched in inglese) sulle depressioni delle dune sabbiose.  O formati, come il lago Wabby, dalla duna stessa che, avanzando lentamente nel corso dei secoli, forma una diga che blocca un corso d'acqua.


L'acqua calda e cristallina del lago Mac Kenzie, il più grande, invita dolcemente a fare il bagno.


Sulla alta duna del Lago Wabby che raggiungi attraverso un desertico passaggio,  il caldo della sabbia e la pendenza che fa da cuscino sono l'ideale per schiacciare un pisolino dopo una faticosa scarpinata nelle sabbia soffice ed ondulata della foresta che lo separa dal mare.


Sull'altra sponda, grandi nidi di uccelli riposano indisturbati.


Al ritorno, sulla riva che si affaccia su un tratto di oceano infestato da squali pericolosi (è proibito fare il bagno) il regno animale ci offre uno spettacolo di vita e morte senza uguali.

In cielo, lassù in alto, una coppia di aquile maestose, due esemplari di wedge tailed eagle, disegnano ampi cerchi trascinate dalle correnti.


Sull'arenile, quaggiù in basso, centinaia di carcasse di uccelli morti disseminati per un lungo tratto, sono il risultato di una migrazione dalla Nuova Zelanda, finita in una zona di bassa pressione che ha impedito ai poveri animali di cibarsi e di posarsi al suolo. Sono piovuti giù così, quasi tutti assieme, stremati, affamati e senza più riferimenti dopo due giorni di vagare senza scampo.


La guida commenta, un po' laconica, che stanno facendo la gioia dei dingo, i cani selvatici che popolano l'isola e che noi non abbiamo ancora visto.

Al tramonto fa la sua comparsa una strana falce di luna. Sembra quasi una Luna piena con la parte rivolta al sole  devastata da un incendio (ovviamente la falce qui è rovesciata, come la faccia della Luna...).


Questa sera sono molto stanco e quindi la chiudo qui. A cena, con Enrico, discutendo della sensazione che dà il titolo a questo post, ridiamo al pensiero della paura che Santa Lucia ci metteva quando eravamo piccoli (in ere diverse...). Lui si infervora a raccontarmi come ancora ora non si capaciti del modo in cui facevamo cadere le  caramelle  dal soffitto.
Io lo guardo e scoppio a ridere pensando a come, se ci fosse Luca, questa sarebbe stata un' occasione per prenderlo un po' in giro.

Questo primo giorno senza "l'australiano" (che ritroviamo però domani, dopo il compito di biologia...) è passato in un secondo ed a lasciato un segno chiaro e luminoso, proprio come la sabbia di questo posto.

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