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venerdì 1 novembre 2013

Nella tana dello gnomo

Lasciare Sydney, dopo tre giorni così intensi, è come salutare il compagno di una notte di baldoria finita sempre troppo presto.
Quasi come accorgersi di aver lasciato  l'hard disk di backup con tutte le tue foto nella camera d'albergo.
Ma questa è un'altra storia. Poi, per dirla tutta, il receptionist dal forte accento indiano  che ha faticato a capire a cosa mi riferissi, alla seconda telefonata, dopo che hanno controllato, mi ha assicurato di averlo trovato. Lo potrò riavere tra 13 giorni quando torneremo a Sydney per spiccare il volo verso l'Italia.

Chissà quanti sono i lati nascosti di Sydney che non abbiamo neanche sfiorato.
Quante cose avrebbe ancora potuto dirci questa città, inizialmente così grigia ed omologata e scoperta invece poliedrica, intrigante e rilassante al tempo stesso.

Per dire,  mi sarebbe piaciuto capire quale è il gioco delle etnie. Qual'è il vero grado di integrazione. Quali, e se ci sono, le divisioni nei lavori.

I guidatori di taxi, ad esempio, sono quasi sempre indiani.  Generalmente scontrosi, non si scomodano a capirti né, tanto meno, ad aprirti il bagagliaio o ad aprirti la portiera.
Forse è stata solo sfortuna, ma tutti gli indiani con cui abbiamo interagito sono stati antipatici e scortesi. Come il tizio che ai controlli di sicurezza ha aggredito Enrico trattandolo come fosse un molesto mendicante, solo perché aveva fatto cenno di cambiare la corsia per sfruttare una fila completamente vuota.
Poi ci sono i cinesi, ovviamente tanti che si occupano, come dappertutto, di ristorazione e cianfrusaglie. Tra di loro parlano in cinese e quasi sempre danno l'impressione di essere un mondo a parte. 
Gli australiani di origine europea, ma anche quelli più integrati di altre etnie ( indiani a parte) sono generalmente cordiali e sorridenti. Attaccano sovente con un amichevole "how are you?"  che disorienta un po'. Il loro inglese è biascicato, con le vocali distorte e gli accenti pure. Spesso incomprensibile. Per noi che siamo abituati ad avere i sottotitoli con la parola scritta sullo sfondo, son dolori!

Il saluto alla fine, per dirne una, è un suono tipo "siuuulà", see you later, spiega Luca. Qui il "bye bye"







di Topolino non va più di moda.

Questa mattina la colazione la facciamo in aeroporto. Dopo i controlli del terminal domestic flight, il 2, una bolgia infernale di persone di ogni tipo assalta la miriade di tavolini e fast food di ogni tipo allineati in bella mostra.
Guardando cosa mangiano ( e cosa mangi) capisci perché sono così grassi (stai così ingrassando).

Il mondo di Hervey Bay si presenta ben diverso sin dai primi sguardi all'atterraggio.
A dire il vero l'impressione è che sia una grande baraccopoli.
Centinaia di costruzioni variopinte sono disposte in posizioni un po'  scentrate rispetto ad appezzamenti verdi, stranamente più irregolari del solito.



Già all'uscita dell'aeroporto ti accorgi infatti di essere in un altro mondo, ancora più informale di quanto visto finora a Sydney. Complice anche il clima, le infradito regnano incontrastate, ma molti, soprattutto i ragazzi, camminano a piedi scalzi.
Una breve sosta nella casa di Luca, un bella villetta fittamente recintata a differenza di tutte le altre.
Appena entrato vengo  letteralmente assalito dalle coccole del rotweiler di famiglia, una femmina di nome Roxy che pesa si, sessanta chili, ma li esprime solo in tenerezza.

Poi, tutti e tre a far esplodere i bagagli al Mantra Hotel, dove una raccomandazione di Jodie, la "mamma" di Luca, ci ha permesso di godere di un appartamento, con accesso diretto alla piscina al prezzo della camera che avevamo pagato via internet.

Il paese poi, lo scopriamo girovagando con un vecchio camioncino Toyota che, sempre Jodie, gentilmente ci ha prestato.
Fa strano respirare l'aria che Luca sta respirando qui da mesi, assaporare questi odori di resine di alberi sconosciuti, oceano profondo, patatine troppo fritte.
Lui è abituato, ma per noi è come entrare in casa di qualcuno per la prima volta e guardarne gli addobbi ed i mobili respirando con il naso un profumo sconosciuto.

Commentiamo che, sembra quasi di essere tutti e tre qui in vacanza, tanta è l'armonia che abbiamo ricreato senza alcuna esitazione. Oddio, per la verità qualche volta Enrico si irrita perché pensa che ce l'abbiamo con lui. Invece è solo che, a volte, lui parte per la tangente con discorsi che ci fanno sorridere contemporaneamente, a me e a Luca, ma di tenerezza, non altro. Poi, quando vediamo che si incazza, allora lì, scatta la presa in giro.

Girare con lo scarcassato camioncino è divertente, anche se dietro sull'unico sedile stiamo stretti ed io faccio fatica ad infilare le marce. Poi non ha lo servosterzo e questo, unito al fatto che la guida a sinistra è un'insidia continua, rende tutto elettrizzante.

Cerchiamo inutilmente dei canguri che Luca assicura di aver visto in un giardino privato nel suo tragitto sulla ciclabile per la scuola e poi facciamo la passeggiata sul lungo pontile che, come ci spiega un anziano in bicicletta fermatosi apposta per la cosa, ospitava una ferrovia che trasportava il legname alle navi. Da qui, secondo lui, partirono centinaia di navi verso la Russia con il legname poi usato per costruire la transiberiana.


Lungo i pali che costeggiano il pontile, si appostano i gabbiani in cerca del pesce scartato dai pescatori e pure due pellicani. Coi ragazzi commentiamo che sono il Pellicano Galeone ed il Pellicano Sammarzano: i protagonisti inventati di tante storie che raccontavo loro durante l'infanzia.

A cena siamo da soli, Enrico ed io e ci accomodiamo ad un ristorante affollatissimo, vicino al porto: il Balaena. 
Il nome ricorda, come quasi tutto ad Hervey Bay, le balene che qui sono di casa. In questo periodo però si sono già spostate a sud e quindi difficilmente ne vedremo.

Luca ci ha abbandonato perché ha la festa di Halloween con i suoi amici. Lo accompagna Jodie che ha pure cucinato un sacco di cose per quella banda di scalmanati (sono circa una cinquantina).

L'impressione che ho avuto, vedendo Luca interagire con la sua famiglia, è che sia stato molto fortunato. Sembrano divertenti e disponibili. Sono contenti di lui e lo dicono con un sorriso vero.

Di lui, mi impressiona come capisca bene quello che dicono. Con questo accento da Paperino per me è ancora troppo difficile, capire tutto.

Penso che sia veramente un'esperienza unica quella che Luca sta facendo.

Ah, dimenticavo: rovistando bene nello zaino, ho trovato l'hard disk che pensavo di aver lasciato in camera. E' tutto il giorno che, con i ragazzi, ci chiediamo che cazzo avesse capito e, soprattutto, trovato il receptionist indiano per confermarmi che ce l'aveva lui. Bah, senza voler generalizzare, resto però della mia idea sugli indiani in Australia.

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